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Lu Shaye, ambasciatore della polemica: un “lupo guerriero” di Xi

AttualitàLu Shaye, ambasciatore della polemica: un "lupo guerriero" di Xi

Generazione di diplomatici che vuol riportare la Cina “al centro”

Roma, 24 apr. (askanews) – Ha provocato un ginepraio di polemiche, l’ambasciatore cinese a Parigi Lu Shaye, mettendo in dubbio la sovranità dei paesi ex appartenenti all’Unione sovietica, a partire dall’Ucraina. Con un’animosità che non è insolita per una nidiata di diplomatici cinesi che non a caso sono stati definiti “Lupi guerrieri” e che caratterizza lo stile di comunicazione della diplomazia di Pechino degli ultimi anni.

Lu nel fine settimana si è fatto intervistare da una tv transalpina e ha sostenuto che la Crimea appartiene alla Russia e i paesi dell’ex Unione sovietica non hanno uno “status effettivo” di Stati sovrani nel diritto internazionale. Una dichiarazione, probabilmente, eccessiva anche per un “lupo guerriero, tanto che il ministero degli Esteri di Pechino ha dovuto precisare che “la Cina rispetta lo status di Stati sovrani di tutte le repubbliche dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica” per bocca della portavoce Mao Ning, dopo la furiosa reazione di diversi dei paesi tirati in ballo che hanno convocato gli ambasciatori cinesi e dell’alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell, che ha annunciato una “posizione forte”.

C’è certamente una dissonanza tra la posizione di Pechino che punta ad avere un ruolo di facilitatrice della pace in Ucraina e lo stile comunicativo della diplomazia cinese dell’era Xi Jinping, che non a caso ha preso il suo soprannome da un film d’azione a tinte particolarmente patriottiche, campione d’incasso nei cinema cinesi tra il 2015 e il 2017: “Zhan Lang 2” (“Lupi guerrieri 2”). Un miscuglio di effetti speciali e arti marziali, in cui i buoni sono i cinesi e i cattivi gli occidentali, secondo una schema tratto direttamente da analoghi film americani.

Questa visione manichea del mondo è da tempo patrimonio della politica e della diplomazia cinese e affonda le sue radici in un senso di umiliazione nazionale, raccontato nel 2012 dal politologo Zheng Wang in un testo pubblicato dalla Columbia University Press – “Never Forget National Humiliation – Historical Memory in Chinese Politics and Foreign Relations” – che ha descritto in una maniera che fece un certo scalpore l’ideologia nazionalista della nuova politica estera cinese, cementata attraverso l’educazione patriottica impartita nelle scuole cinesi negli ultimi decenni.

Agli occhi di questa generazione di funzionari, secondo quanto ha affermato recentemente lo stesso Lu Shaye in un’intervista a L’Opinion, la voce di Pechino è rimasta troppo a lungo “non ascoltata, come se davanti a noi fosse stato eretto un muro di disinformazione”.

I “lupi guerrieri” hanno iniziato a battere i boschi della diplomazia mondiale nel 2017, quando questa generazione di diplomatici aveva ormai fatto sufficiente carriera da poter far sentire la propria voce, mentre andava in pensione la generazione cresciuta sotto Deng Xiaoping, Jiang Zeming, Hu Jintao, fedeli a uno stile dichiarativo ovattato, che cercava di lavorare nell’ombra, evitando prese di posizioni eclatanti: “taoguang-yanghuì” (“celarsi nella luce, coltivare nel buio”), diceva Mao Zedong.

L’emergere della diplomazia dei “Wolf Warrior” è legata alle ambizioni politiche e alle inclinazioni di politica estera di Xi Jinping, che è definita “Waguo waijiao”, cioè “Politica da grande Paese”, e che punta a ricollocare la Cina al centro dei grandi giochi della politica globale, nel ruolo che le compete nella storia: d’altronde la parola “Zhongguo”, “Cina”, è scritta con caratteri che vogliono dire “Paese del Centro”.

Xin Gang, l’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, è considerato il più rappresentativo esponente di questa corrente diplomatica. Nel bel mezzo della crisi Covid-19, di fronte alle accuse che arrivavano dall’estero di essere stata l’iniziatrice della pandemia, sostenne che il suo compito era quello di combattere le “calunnie infondate” dei “lupi feroci” all’estero.

Il principale nemico dei “Wolf Warrior” è ovviamente Washington, con cui Pechino si sente concorrente nella grande gara per l’egemonia (anche se la Cina rigetta il principio stesso di egemonia, a parole). Ma anche tra i vicini, ci sono obiettivi preferiti come l’India o il Giappone. Nella narrativa dei diplomatici cinesi, invece, l’Unione europea è un partner che però è troppo assoggettato agli Stati uniti.

I “Lupi guerrieri” non disdegnano di rilanciare tesi azzardate, in risposta anche a quelle che considerano menzogne nei confronti di Pechino. L’ex portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, che è stato uno dei capofila di questa nidiata di diplomatici, arrivò a sostenere che fossero stati i militari Usa che avevano partecipato ai Mondiali militari organizzati nel 2019 a portare in Cina il coronavirus. (di Antonio Moscatello)

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